LA STORIA DE «IL RIBELLE»

I primi giorni di gennaio del 1944, fitti rastrellamenti nazifascisti a Brescia e provincia portano alla cattura di molti antifascisti: tra essi spiccano i nomi di padre Carlo Manziana e Andrea Trebeschi (processati e deportati in Germania) e di Astolfo Lunardi ed Ermanno Margheriti (fucilati al poligono di Mompiano il 6 febbraio 1944).
Proprio Lunardi era tra i principali promotori del foglio clandestino «Brescia libera», che aveva visto una certa diffusione in città tra il novembre 1943 e il gennaio 1944, e che egli intendeva trasformare nell’organo d’informazione della Guardia nazionale, la progettata organizzazione militare antifascista con la quale egli intendeva combattere contro l’occupazione tedesca, mai realizzata.
La reazione ai durissimi colpi inferti alla Resistenza bresciana è forte e coraggiosa: anche se i collaboratori di «Brescia libera», che fino a quel momento avevano operato nell’oratorio della Pace sotto la protezione di padre Carlo Manziana e di padre Luigi Rinaldini, sono costretti a fuggire e nascondersi, nessuno si perde d’animo. Dopo un mese, il 4 marzo 1944, è già pronto il primo numero di un nuovo foglio clandestino, «il ribelle», stampato in quindicimila copie dalla Tipografia Rovida di Milano, ma uscito con “Brescia” come luogo di stampa, riprendendo idealmente l’attività inaugurata da «Brescia libera», alla quale idealmente s’ispirava, riprendendone il motto: «esce come e quando può».

Allo storico gruppo di redattori e collaboratori del foglio bresciano – che raccoglieva Laura Bianchini, don Giuseppe Tedeschi, Enzo Petrini, Claudio Sartori, Antonio Bellocchio, Ugo Pozzi, Angio Zane e altri, coadiuvati dai fratelli Rinaldini, Franco Salvi e da un nutrito gruppo di volontari e studenti (cfr. l’Introduzione di Dario Morelli alla ristampa della serie completa del 1974) – si uniscono Carlo Bianchi e l’energico Teresio Olivelli, che grazie a Sartori aveva incontrato i ribelli della città cidnea ed era entrato a far parte della Resistenza a Brescia.
Fin da subito, la polizia fascista mette a soqquadro tutte le tipografie bresciane, alla ricerca degli stampatori e dei distributori clandestini, senza successo. Presso Rovida si stampano i primi tre numeri del giornale (n. 1, del 5 marzo; n. 2, del 26 marzo; n. 3, del 24 aprile 1944): i fogli de «il ribelle» sono distribuiti in tutta la città e la provincia di Brescia (in particolare grazie alla diffusione capillare messa in atto dalle Fiamme Verdi bresciane) e ben presto raggiungono, attraverso la rete del CVL e del CLNAI, i centri principali della Lombardia, del Piemonte, del Veneto e dell’Emilia.

La polizia politica e le spie mettono i fascisti sulle tracce dei redattori e dello stampatore milanese: nell’aprile 1944 a Milano sono arrestati e deportati in Germania Teresio Olivelli, Franco Rovida, Carlo Bianchi, Rolando Petrini e due operai della tipografia, Monti e Rossi: il giornale deve cessare temporaneamente le attività. Solo due mesi dopo, il 10 giugno, «il ribelle» torna ad uscire, stampato a Lecco presso la Tipografia Lecchese, grazie all’interessamento di Luigi Annoni. Da questa tipografia escono i numeri dal 4 al 20, fino al Natale 1944, e i primi dieci Quaderni de «il ribelle». Quando, alla fine del 1944, un bombardamento isola i collegamenti tra Lecco e Milano, la stampa del giornale è nuovamente trasferita nel capoluogo lombardo, presso la tipografia di Eligio Lechi, dove sono stampati i numeri da 21 a 25 e l’undicesimo dei Quaderni. Il 26° (e ultimo) numero è, invece, nuovamente stampato a Lecco, nella tipografia di Annoni.
Figura centrale della composizione e stampa de «il ribelle» tra Milano e Lecco è Pietro Reginella, che viaggia continuamente tra i due centri lombardi con grandi valigie contenenti i piombi composti del giornale o le bozze di stampa, sotto i costanti rischi dell’arresto e della fucilazione. Nonostante la clandestinità, il giornale mantiene tirature altissime, sempre distribuite celermente e capillarmente: quindicimila copie per il giornale, diecimila per i Quaderni, distribuite in quattro regioni e talvolta ristampate localmente. In breve tempo «il ribelle» diventa un vero organo d’informazione, un efficace strumento di formazione e, in definitiva, la voce pedagogica e valoriale della Resistenza cattolica e autonoma in Italia settentrionale: si trasforma ben presto in un oggetto molto pericoloso, da distribuire con cautela e da diffondere di mano in mano cercando di non farsi scoprire.

L’intenzione comunicativa dominante ne «il ribelle» è duplice: informativa e pedagogica. Le notizie sono presentate con l’intento di far nascere nel lettore la coscienza del vuoto morale causato dal fascismo e dalla tragedia della guerra e dell’invasione nazista che da esso erano state promosse. Spesso le informazioni sono affastellate in maniera caotica, spinte più dall’onda dell’emozione e dall’indignazione contro il nemico che dal desiderio di obiettività. La pagina scritta è sempre militante, e trasmette pienamente le circostanze e il contesto nei quali notizie e riflessioni prendono vita.

Dal punto di vista ideologico, «il ribelle» riceve un’iniziale spinta dalla matrice rivoluzionaria e innovatrice del pensiero di Teresio Olivelli: dopo il suo arresto e la sua deportazione, la linea editoriale diviene più moderata e più marcatamente ispirata dal pensiero cattolico-democratico.
Ideologia e pedagogia ne «il ribelle» prendono via via più spazio rispetto alle notizie, la cui raccolta, verifica e controllo era complicata dai mutevoli scenari di guerra: spesso le informazioni risultano imprecise, generiche o ricostruite solo sul sentito dire. Ciò che rimane costante è il continuo e pressante auspicio della rapida sconfitta del nemico e della fine della guerra, per dar vita a una nuova Italia, fondata sulla pace e sulla moralità pubblica.
Anche nella loro apparente inattualità, le pagine ingiallite de «il ribelle» ci raccontano tutta la tensione morale della Resistenza bresciana; una tensione che lascia la sua profonda traccia anche nell’animo dei lettori di ieri e di oggi.