GUIDA ALLA LETTURA DE «IL RIBELLE», SETTANT’ANNI DOPO [1]
di Rolando Anni
Archivio storico della Resistenza bresciana e dell’età contemporanea, Università cattolica del Sacro Cuore, Brescia
UNA DIFFICILE LETTURA
Sono davvero inattuali, scandalosamente inattuali, in una civiltà in cui domina l’immagine, questi fogli ingialliti, male stampati, con l’inchiostro sbavato e i refusi che si accumulano sulla pagina fitta di parole?Alcuni sono tirati a ciclostile, su carta di pessima qualità che ora, dopo tanti anni, va dissolvendosi, rendendo talora ardua la decifrazione delle parole.
Non mancano poi degli errori tecnici. Per fare un solo esempio, nell’ultimo numero di «Brescia libera» la lettura delle prime righe del secondo foglio risulta compromessa, probabilmente per un errore tecnico nell’inchiostratura o nel posizionamento della matrice.
Tuttavia questi fogli ci parlano, se sappiamo interrogarli. Ci parlano un linguaggio che va oltre le parole stampate, la loro muta e concreta presenza ci dice cose che sono difficili da interpretare direttamente e senza una mediazione.
Ebbene, mai come nel caso dei giornali partigiani, e di «Brescia libera» e de «il ribelle» in modo particolare, la materia di cui sono costituiti ci parla. Ci dice, cioè, le vicissitudini della stampa, della fatica e dei tempi impiegati per il trasporto prima delle matrici di piombo e poi delle copie, della loro distribuzione casa per casa, così come è stata minuziosamente raccontata da Dario Morelli nell’introduzione alla ristampa anastatica del 1974.
Le notizie che si accumulano nello stretto spazio della pagina completamente sfruttato e gli articoli spesso eccessivamente lunghi e non sempre di agevole lettura sono le caratteristiche che, già di per sé e indipendentemente dai contenuti, ci forniscono una comunicazione. Ci trasmettono quel desiderio di esprimersi, di parlare e di spiegare che, proprio perché è stato a lungo compresso, emerge incontenibile.
Tutto ciò costituisce un ostacolo alla lettura, ci impedisce di seguire agevolmente fino in fondo un discorso e nell’ intrico fitto di parole diviene difficile distinguere ciò che è importante da ciò che lo è meno.
Per di più è facile incappare in uno dei limiti più evidenti della stampa partigiana. Lo descrive con precisione Alfassio Grimaldi quando osserva, non senza autocritica, che:
sui fogli delle formazioni ci sono cose indubbiamente brutte […] ci sono prose dalle quali rampollano, quando meno te lo aspetti, l’ampollosità dannunziana e la cultura del dizionario del Littorio [2].
COME SI LEGGEVA IL «IL RIBELLE»
Quello che a noi oggi pare, anche solo visivamente, un testo di difficile lettura e, a prima vista, poco “riconoscibile”, va riferito, se vogliamo comprenderne a pieno il significato, ai suoi propri lettori, a coloro che erano, settant’anni fa, i destinatari primi de «il ribelle». Non erano pochi di numero, questi, se si pensa al fatto che il giornale aveva una tiratura altissima (15.000 copie, che erano distribuite non solo in Lombardia, ma anche nelle regioni limitrofe) e che talvolta era addirittura ristampato localmente [3].
«Il ribelle» era letto soprattutto per le notizie, peraltro spesso e di necessità generiche e imprecise. Non sembri un’ovvia banalità questa osservazione (quale giornale, infatti, non si legge per le notizie?). Con questa espressione si vuole intendere altro: il lettore aveva a disposizione solo i giornali fascisti che erano rigidamente controllati. A Brescia si pubblicava un grigio quotidiano, «Brescia repubblicana», di un solo foglio, raramente due, che, come tutti gli altri del resto, nascondeva più che comunicare notizie.
Ne «il ribelle», che usciva «quando e come» poteva, il lettore soddisfaceva finalmente un’autentica e profonda sete di notizie, che erano diverse da quelle ufficiali e che apparivano illuminate dall’affascinante luce della verità e della libertà. Pazienza, poi, se queste erano imprecise, se gli articoli ideologici erano spesso troppo lunghi o complicati da un linguaggio caricato e retorico che faceva velo alla ricchezza e alla profondità delle idee che vi erano espresse.
«Il ribelle» costituiva anche un oggetto proibito, pericoloso, che andava nascosto con cura oppure fatto passare di mano in mano in segreto e che, in caso di pericolo, doveva essere abbandonato. Coma accadde ad uno sconosciuto distributore cittadino che fu costretto a disfarsene. Il 15 marzo 1944, infatti, il maresciallo Guido Spinelli, comandante della squadra politica della questura di Brescia, vide:
sul greto del torrente Garza, un pacco avvolto in un giornale e legato da una cordicella. Recuperatolo […] si è constatato che il pacco conteneva il seguente materiale, alquanto bagnato:
a) 122 copie del noto stampato dal titolo «il ribelle» edito alla macchia in data 5 corr. […]
b) 175 copie del noto foglietto «Brescia libera», edito in data 15 gennaio c. a. […]
Si provvede a distruggere col fuoco detti stampati”[4].
La stampa clandestina non era letta solo dagli antifascisti, essa interessava, per altri motivi, anche i fascisti. Alcuni funzionari, anzi, analizzarono con molta attenzione, dalla primavera alla fine di ottobre del 1944, un buon numero di giornali partigiani e stesero ben quattro voluminosi rapporti inviati a Mussolini.
Pur essendo ricchi di osservazioni e di analisi testuali, essi ci dicono in realtà ben poco de «il ribelle» e degli altri giornali, molto di più invece di loro, dei fascisti cioè, e dell’attenzione quasi maniacale con cui studiavano la stampa clandestina alla ricerca di diversità di posizioni e di atteggiamenti politici nei confronti del fascismo di Salò.
Il giudizio su «il ribelle», al termine dell’esame dei contenuti degli articoli, è in sintesi, il seguente:
La novità del presente rapporto è costituita dall’apparizione di un foglio bresciano «il ribelle», esponente di una strana corrente di ribellismo cattolico-chiesaiuolo […] Ciò che non è dubbio, oltre alla intonazione clericaloide del foglio è la sua decisa ispirazione antitedesca” [5].
Giudizi che non erano, se prescindiamo dalle espressioni sprezzanti, del tutto scorretti.
UNA MAPPA DI SEGNALI
Ogni testo – e «il ribelle» va considerato, nel suo complesso, un testo – si presenta come una foresta di parole in cui è facile perdersi e difficile trovare dei sentieri. Eppure in questa selva emergono dei segnali che ci offrono una sorta di mappa con la scorta della quale possiamo orientarci e percorrerla.
L’intenzione comunicativa dominante del giornale è pedagogica per cui, come è stato scritto in una suggestiva analisi:
«il ribelle» […] non era solo una comunicazione con uomini dagli stessi ideali, ma si proponeva anche di risvegliare in essi la coscienza dell’inizio di un nuovo periodo storico, in cui sarebbero finalmente risorti i valori lasciati nell’ombra dal fascismo [6].
Bisogna tener conto dunque di questa caratteristica che è presente non solo negli articoli più propriamente ideologici, ma in ogni intervento. Persino le notizie minime, le più irrilevanti, svolgono una precisa funzione: quella di portare il lettore alla riflessione e indurlo a prendere coscienza del vuoto morale lasciato come eredità dal fascismo.
Le posizioni ideologiche
La tensione pedagogica cui si è accennato fa sì che ne «il ribelle» assuma un particolare rilievo l’impronta ideologica. Non a caso su di essa si è quasi esclusivamente soffermato l’interesse degli storici della stampa partigiana. Che gli scritti ideologici costituiscano qualitativamente gli elementi più rilevanti e percepibili del giornale è indubbio. I giudizi e le valutazioni delle sue posizioni politiche e ideologiche sono diversi e vanno da chi rinviene in esse degli atteggiamenti filomonarchici a chi, attraverso una più attenta e articolata lettura, ne mette in rilievo contenuti autenticamente nuovi accanto al persistere di esitazioni ed incertezze nell’accettarli completamente.
Mario Giovana non sbaglia quando ritrova ne «il ribelle» le due anime del cattolicesimo politico italiano, anche se le mette troppo drasticamente in contrapposizione, quasi fossero due concezioni di vita assolutamente inconciliabili. Una caratterizzata da una genuina spinta verso un profondo e perciò rivoluzionario rinnovamento della società italiana (che è presente soprattutto negli scritti di Teresio Olivelli) e una più cauta, prudente e conservatrice, impegnata nel tentativo di «attutire la tensione rivoluzionaria» [7] del pensiero di Olivelli. Fu quest’ultima che si impose come linea dominante (ma non assoluta, aggiungo io) nel giornale, dopo l’arresto e la deportazione in Germania del suo fondatore.
Le notizie
Se è vero che le tematiche ideologiche dominano per l’importanza e la qualità degli interventi, sono però le notizie degli scontri con fascisti e tedeschi e delle “azioni” partigiane che conquistano, quantitativamente e visivamente, lo spazio maggiore. Le ragioni sono evidenti, sono infatti proprio queste notizie che sottolineano in modo inequivocabile che lo scopo primario del giornale è di suscitare l’opposizione attiva al fascismo.
Spesso si tratta di notizie generiche nella loro formulazione, costituite da poche parole e affastellate, se così si può dire, una accanto all’altra apparentemente senza alcun criterio di scelta. Solo a qualche numero dall’inizio vengono organizzate in vere e proprie rubriche, che aumentano la riconoscibilità del giornale e costruiscono un ordine in cui il lettore si può orientare. Il pericolo per lui è, infatti, quello di perdersi in un accumulo indistinto di interventi ideologici intorno alle grandi questioni che la lotta partigiana pone, senza poter accedere alla conoscenza dei fatti che dimostrano come la lotta contro i tedeschi e i fascisti sia ben viva.
È difficile, a questo riguardo, consentire con l’opinione di Giovana (che è peraltro lettore attento e non di rado acuto e sensibile de«il ribelle») quando afferma che dominano nel giornale, dopo la deportazione di Olivelli, «divagazioni tortuose di tono spesso pietistico, intrise di pessimismo» [8]. Semmai avviene proprio il contrario: tanto più le notizie di scontri e di azioni partigiane si infittiscono, tanto più la speranza e la fiducia aumentano.
È arduo, oggi, credere che una informazione come quella pubblicata sul n. 11 («18 agosto. Requisizione di un autocarro con rimorchio della Milizia Forestale di Val di Scalve») possa essere considerata una vera notizia. Eppure, insieme a numerose altre dello stesso tenore, non sempre e non tutte egualmente positive, danno un quadro se si vuole generico, ma efficace per suscitare speranze e far capire che la guerra contro tedeschi e fascisti procede, e in modo positivo.
Accanto a delle rubriche che divengono fisse e che hanno uno scopo informativo (per citarne solo alcune, Nostro fronte, Brescia e le sue valli, Dall’Italia liberata), appaiono fin dai primi numeri dei riquadri tipografici che evidenziano pensieri e giudizi in contrasto, talora sarcastico, con il pensiero e le azioni del fascismo.
Non manca neppure la pubblicazione di documenti di parte fascista che, con la loro sola presenza e con il loro contenuto che viene a smentire la propaganda ufficiale, costituiscono un atto di accusa più efficace di ogni altro articolo.
Le fotografie
Non sono molto numerose le fotografie pubblicate (ma in tutta la stampa clandestina sono molto rare), solo 26. Alcune sono però di grande efficacia ed assumono un significato particolare. Quelle che documentano le rappresaglie, in primo luogo. Sul n. 13 ne vengono stampate due, che hanno come soggetto i partigiani fucilati a Piazzale Loreto, a Milano, e un impiccato. La prima pagina, in tal modo, è caratterizzata in senso fortemente emotivo e non avrebbe bisogno di commenti particolari o di spiegazioni. Tuttavia, per non lasciare spazio alcuno all’ambiguità, le didascalie esplicitano volutamente il senso delle immagini: «questi esempi di atrocità» si presentano di per sé come un invito alla ribellione e alla lotta contro fascisti e tedeschi.
Un particolare rilievo assumono poi le fotografie che documentano, direttamente e senza bisogno della mediazione di parole, l’orrore del lager. Che cosa poteva pensare o dire chi vedeva sul n. 15 del “ribelle” la fila di cadaveri nudi e scheletriti allineati nel cortile? Si tratta di una immagine destinata di lì a non molto tempo a lasciare spazio ad altre ben più crude e sconvolgenti di questa, testimonianze di una realtà che i lettori non potevano, allora, neppure immaginare.
E infine le fotografie di alcuni dei caduti della Resistenza. Sono i tentativi di non dimenticare, di conservare la memoria di quello che è avvenuto e sta avvenendo, perché la loro morte non sia dimenticata e non diventi inutile.
Note
[1] Il testo è pubblicato in «Brescia libera» e «il ribelle» (1943-45), Brescia, Associazione “Fiamme Verdi”, 2015, pp. XI-XIV.
[2] In L. Mercuri, Antologia della stampa clandestina (1943-1945), in «Quaderni della FIAP», 41 (1982), p. 11.
[3] R. Crippa parla delle ristampe, a Pavia, di due numeri. Un’edizione speciale per le valli bresciane venne poi pubblicata, con la data del 25 maggio 1944, su una sola facciata perché potesse servire anche da manifesto murale. Cfr. Id., «Il ribelle» nella nostra provincia, in Il coraggio del no. Figure e fatti della Resistenza in provincia di Pavia, Pavia, Amministrazione provinciale, 1973, pp. 101-3.
[4] La stampa clandestina 1943-45 nei Mattinali della questura di Brescia, a c. di Dario Morelli, in «La Resistenza bresciana», 6 (1975), pp. 108-9.
[5] Questi brevi giudizi sono contenuti nel rapporto del 14 aprile 1944, alle pp. 1 e 16. Le relazioni sono state pubblicate in Rapporti a Mussolini sulla stampa clandestina. 1943-1945, a c. di Ercole Camurani, Sala Bolognese (BO), Forni, 1974.
[6] G. Calvi, A. Galli e M. Mazzarini, Analisi psicodinamica della stampa clandestina. 1943-1945, in «La Resistenza bresciana», 3 (1972), p. 103.
[7] M. Giovana, Tendenze e aspirazioni sociali nella stampa delle formazioni partigiane, in «Il movimento di liberazione in Italia», 83 (1966), p. 34.
[8] Ibid.